Milioni a gogò da "Il Guado"
... dove si narra di milioni di "cervelli" trapanati dalle strategie di psicologi e multinazionali.
Cap.2 "Eldorado"
(Scena: Hotel "Stella Maris", Camogli; Tempi: attuali; Personaggi: Eric Desayeux: pubblicitario; Aline: modella)
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Milioni a gogò |
«Aline, io e tutti gli altri pifferai di questo mondo siamo i Persiani, siamo i sacerdoti del Gran Re, i mercenari della globalizzazione. Noi per colonizzare le menti altrui disponiamo di capitali immensi. Abbiamo il potere di ipnotizzare con immagini oniriche, affascinare con dissolvenze e rallentatore, turbare con musiche inquietanti, eccitare con sguardi ambigui, irretire con respiri orgiastici, abbindolare con frasi a effetto, catturare con sequenze sensuali, far rincoglionire con scene senza senso ripetute fino all’ossessione. I Greci? Le poleis? Dovrebbero essere i clienti, i consumatori, cioè i pesci sul sofà. Dico “dovrebbero” perché diventando nostri complici si sono già arresi. Consegnandoci menti e portafogli, hanno rinunciato a difendersi. Eppure ognuno di loro potrebbe diventare un Leonida, potrebbe distruggerci facilmente. Basterebbe che cominciassero a riflettere e si ribellassero, senza aspettare l’eterno cavaliere bianco, la grande, eroica occasione o l’evento risolutore di tutta una vita. Cominciando dalle piccole cose potrebbero diventare, tutti e da subito, dei Leonida».
Aline lo guardava senza capire.
«Un mio caro amico, pifferaio anche lui, è riuscito con le sue pasticche, in pochi anni, a far pagare il caffè otto volte il prezzo della miglior miscela sul mercato».
Aline lo guardava come una bambina che ascolta una favola.
«Come ci è riuscito? Semplice: in modo cartesiano e con largo uso di fondi. Primo: con tecniche da spacciatore di droga, ha regalato a piene mani la prima dose: la macchinetta. Buon design e costruita in Cina. Secondo: ha disegnato degli imballaggi stupendi ed evocativi, anche se inutili e tragicamente inquinanti. Una cosa è imballare in un sol colpo cinquecento grammi, un’altra è imballare cento volte cinque grammi. Terzo: ha costruito dei “templi”: dei negozi raffinati dove macchinette del caffè e pasticche multicolori vengono esposte in intime cripte sul muro, avvolte da luci soffuse, come fossero divinità policrome. In alcuni negozi ha anche previsto dei sancta sanctorum, degli spazi interni in cui commessi sacerdoti officiano con movimenti misurati il rito del caffè. Mi ha detto che in quei negozi vuole dare ai polli, quelli che io chiamo pesci sul sofà, l’illusione di far parte di un’elite. Quarto: ha arruolato il bell’attore superpagato che, ossessivamente, con sguardi sbarazzini, e frasi accattivanti, come un cane da gregge, ha il compito di spingere le pecore dietro lo schermo… dentro la stalla. Ultimo: avendoli già incatenati alle sue pasticche, perché la macchinetta funziona solo con quelle, presenta il conto, spudoratamente salato: otto volte il prezzo della miglior miscela sul mercato. È un genio, in pochi anni ha messo su un business milionario, tolto la “libertà di caffè” a polli, pecore e pesci e conquistato segmenti su segmenti di mercato. Una Austerlitz, visionaria e trionfale. Pochi mesi fa, di passaggio a Parigi, è venuto a trovarmi a cena: adora i miei branzini in crosta di sale. A fine serata, al momento del caffè, quando ho tirato fuori il mio barattolo di “Chicco d’Oro” e la vecchia, gloriosa, Bialetti, scuotendo la testa, ha ghignato: "La migliore, è quella che uso anch’io, ci tengo alla mia libertà, ma la mia… è blu”. È un genio, un bastardo, un mercenario del Gran Re e un grande amico».
Aline lo guardava stupita, come se Eric avesse tolto un drappo a un quadro che aveva avuto sotto il naso per tanto tempo e le avesse mostrato quel che lei non era stata in grado, da sola, di vedere.
«Aline, con le stesse tecniche e dei buoni budget possiamo vendere anche titoli spazzatura a peso d’oro: hai mai sentito parlare della Parmalat? O far eleggere presidenti come saponette, con buona pace della democrazia».