"Vivere e Scrivere" di Fabrizio Catalano (Prefazione a "Il Guado")
Fabrizio Catalano, regista e scrittore |
"La vita o si vive o si
scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola: così
Luigi Pirandello, in uno dei suoi più illuminanti romanzi, Il fu Mattia Pascal. A questa frase, istintivamente, ho pensato,
leggendo il suggestivo manoscritto de Il
guado. Senza tirar fuori alcun parallelismo forzato, senza imbarcarmi in
alcun paragone, sembrava proprio, leggendo quelle pagine, che Rino Tringale
fosse stato capace, al tempo stesso, di vivere e di scrivere. Di descrivere la
vita, di raccontarla, di enucleare da episodi, fatti e personaggi in cui s’era
imbattuto un piccolo nocciolo di verità e, nonostante tutto, un barlume di
speranza. Tringale ha viaggiato molto; e, pertanto, ogni pagina di questo libro
è un miscuglio di autobiografia e di sogno. E ciò che, a prima vista, appare
fantasioso, a volte è – brillantemente o dolorosamente – reale; così come
piccoli eventi reali non potrebbero esistere senza una sbrigliata, audace ed a
tratti inquietante fantasia. Il guado
va letto davanti ad un mappamondo, per provare la rara ma ammaliante emozione
di vivere gli eventi come se stessero accadendo in quel momento e, contemporaneamente,
di scrutarli dall’alto della geografia e della geopolitica, come da un
satellite. Il mondo è innegabilmente – e magnificamente – vario e sfaccettato:
solo cercando di conoscerlo potremo salvarlo. Salvarlo da noi stessi.
Nel 2002, trovandomi, per lavoro, a Parigi, mi capitò di seguire
la campagna elettorale per le elezioni presidenziali francesi. Rimasi molto
colpito dallo spot di una candidata originaria della Guyana, Chirstiane
Taubira. Cominciava con questa secca, semplice
frase: La diversité est à nous comme elle
est dans la nature. La diversità è in noi così come nella
natura: tutti – a mio parere – dovrebbero fare di queste parole una sorta di
regola di vita. Tel qu’en lui même enfin
l’éternité le change, ha scritto Stéphane Mallarmé, in memoria di Edgar
Allan Poe: uguale a se stesso infine l’eternità lo muta. E così del nostro
pianeta, e di ogni essere umano. Il mondo – il mondo umano, e conseguentemente
quello della natura – nell’ultimo secolo non ha più vissuto dei mutamenti, ma è
stato ed è irrepetibilmente sconvolto. Ci volevano anni per compiere dei viaggi
che adesso sono possibili in poche ore. Ogni relazione tra individui originari
di diversi continenti, ma anche residenti in diverse nazioni o in differenti
città, è stata, per millenni, spesso inammissibile; adesso, grazie ad un
computer e ad una connessione internet, possiamo entrare in contatto con
milioni di essere umani, in qualunque parte – o quasi – del planisfero. Reagire
a queste geniali novità non è facile; non farsi schiacciare, non lasciare che
queste novità e che la tecnologia priva di riflessione prendano il sopravvento
potrebbe essere impossibile. In questa complicata questione, Rino Tringale, che
vive appieno nel mondo della tecnologia ma sa come usare il cervello e la
lingua italiana, si pone come suggeritore, come trait d’union. È lui stesso a
dircelo, in qualche modo; e sono le parole che un padre rivolge al proprio
figlio: Ho messo giù, anch’io, una specie
di guado, ma l’ho fatto con dei foglietti, non con dei massi. In questi
foglietti vi sono ipotesi e suggestioni, idee, pensieri e fatti innegabili.
Come dei massi, questi foglietti creano un percorso. Nessuno di noi può sapere
dove questo percorso ci condurrà, ma ciascuno di noi non dovrebbe mai
intraprendere questo cammino senza due buone compagne: la verità e la
giustizia. Ho tentato di raccontare qualcosa
della vita di un paese che amo - ha scritto Leonardo Sciascia ne Le parrocchie di Regalpetra – e spero di aver dato il senso di quanto
lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione. La
vita di un paese, la vita di un intero pianeta. Ogni vita afflitta dalle
ingiustizie: a volte piccole, quotidiane, soltanto fastidiose; altre volte
enormi, orribili, apparentemente invincibili. La nostra unica arma per
combatterle è la ragione. Ce lo dimostra anche Tringale che, non a caso, chiude
il suo libro con un accorato omaggio a Il
giorno della civetta. Nell’ultimo capitolo de Il guado, l’anziano Bellodi, ormai generale in pensione, torna in
Sicilia, per conoscere il nipote di don Mariano Arena, il capomafia che,
cinquant’anni prima – poiché Il giorno
della civetta è apparso nelle librerie esattamente cinquant’anni fa,
nell’autunno del 1961 – aveva invano tentato d’incastrare. Un po’ come nel
verso di Mallarmé, Bellodi troverà una Sicilia al contempo diversa e immutata;
e – quasi come in un’operetta morale di Leopardi, e come è già accaduto altre
volte, nel testo di Tringale – i due personaggi avranno un lungo ed
imprevedibile dialogo. Imprevedibile, soprattutto: come sempre dovrebbe essere
il nostro futuro".
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