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lunedì 9 gennaio 2012

"Vivere e Scrivere" di Fabrizio Catalano (Prefazione a "Il Guado")

Fabrizio Catalano, regista e scrittore
"La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola: così Luigi Pirandello, in uno dei suoi più illuminanti romanzi, Il fu Mattia Pascal. A questa frase, istintivamente, ho pensato, leggendo il suggestivo manoscritto de Il guado. Senza tirar fuori alcun parallelismo forzato, senza imbarcarmi in alcun paragone, sembrava proprio, leggendo quelle pagine, che Rino Tringale fosse stato capace, al tempo stesso, di vivere e di scrivere. Di descrivere la vita, di raccontarla, di enucleare da episodi, fatti e personaggi in cui s’era imbattuto un piccolo nocciolo di verità e, nonostante tutto, un barlume di speranza. Tringale ha viaggiato molto; e, pertanto, ogni pagina di questo libro è un miscuglio di autobiografia e di sogno. E ciò che, a prima vista, appare fantasioso, a volte è – brillantemente o dolorosamente – reale; così come piccoli eventi reali non potrebbero esistere senza una sbrigliata, audace ed a tratti inquietante fantasia. Il guado va letto davanti ad un mappamondo, per provare la rara ma ammaliante emozione di vivere gli eventi come se stessero accadendo in quel momento e, contemporaneamente, di scrutarli dall’alto della geografia e della geopolitica, come da un satellite. Il mondo è innegabilmente – e magnificamente – vario e sfaccettato: solo cercando di conoscerlo potremo salvarlo. Salvarlo da noi stessi.
Nel 2002, trovandomi, per lavoro, a Parigi, mi capitò di seguire la campagna elettorale per le elezioni presidenziali francesi. Rimasi molto colpito dallo spot di una candidata originaria della Guyana, Chirstiane Taubira. Cominciava con questa secca, semplice frase: La diversité est à nous comme elle est dans la nature. La diversità è in noi così come nella natura: tutti – a mio parere – dovrebbero fare di queste parole una sorta di regola di vita. Tel qu’en lui même enfin l’éternité le change, ha scritto Stéphane Mallarmé, in memoria di Edgar Allan Poe: uguale a se stesso infine l’eternità lo muta. E così del nostro pianeta, e di ogni essere umano. Il mondo – il mondo umano, e conseguentemente quello della natura – nell’ultimo secolo non ha più vissuto dei mutamenti, ma è stato ed è irrepetibilmente sconvolto. Ci volevano anni per compiere dei viaggi che adesso sono possibili in poche ore. Ogni relazione tra individui originari di diversi continenti, ma anche residenti in diverse nazioni o in differenti città, è stata, per millenni, spesso inammissibile; adesso, grazie ad un computer e ad una connessione internet, possiamo entrare in contatto con milioni di essere umani, in qualunque parte – o quasi – del planisfero. Reagire a queste geniali novità non è facile; non farsi schiacciare, non lasciare che queste novità e che la tecnologia priva di riflessione prendano il sopravvento potrebbe essere impossibile. In questa complicata questione, Rino Tringale, che vive appieno nel mondo della tecnologia ma sa come usare il cervello e la lingua italiana, si pone come suggeritore, come trait d’union. È lui stesso a dircelo, in qualche modo; e sono le parole che un padre rivolge al proprio figlio: Ho messo giù, anch’io, una specie di guado, ma l’ho fatto con dei foglietti, non con dei massi. In questi foglietti vi sono ipotesi e suggestioni, idee, pensieri e fatti innegabili. Come dei massi, questi foglietti creano un percorso. Nessuno di noi può sapere dove questo percorso ci condurrà, ma ciascuno di noi non dovrebbe mai intraprendere questo cammino senza due buone compagne: la verità e la giustizia. Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo - ha scritto Leonardo Sciascia ne Le parrocchie di Regalpetrae spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione. La vita di un paese, la vita di un intero pianeta. Ogni vita afflitta dalle ingiustizie: a volte piccole, quotidiane, soltanto fastidiose; altre volte enormi, orribili, apparentemente invincibili. La nostra unica arma per combatterle è la ragione. Ce lo dimostra anche Tringale che, non a caso, chiude il suo libro con un accorato omaggio a Il giorno della civetta. Nell’ultimo capitolo de Il guado, l’anziano Bellodi, ormai generale in pensione, torna in Sicilia, per conoscere il nipote di don Mariano Arena, il capomafia che, cinquant’anni prima – poiché Il giorno della civetta è apparso nelle librerie esattamente cinquant’anni fa, nell’autunno del 1961 – aveva invano tentato d’incastrare. Un po’ come nel verso di Mallarmé, Bellodi troverà una Sicilia al contempo diversa e immutata; e – quasi come in un’operetta morale di Leopardi, e come è già accaduto altre volte, nel testo di Tringale – i due personaggi avranno un lungo ed imprevedibile dialogo. Imprevedibile, soprattutto: come sempre dovrebbe essere il nostro futuro".

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