Nelle tre scorse stagioni teatrali Fabrizio Catalano ha portato in scena "Il giorno della civetta"
il capolavoro di suo nonno pubblicato, giusto cinquant'anni fa, nel 1961.
il capolavoro di suo nonno pubblicato, giusto cinquant'anni fa, nel 1961.
Fabrizio Catalano, regista e scrittore |
“…Proprio a proposito di A ciascuno il suo, Sciascia aveva dichiarato: L’indignazione e il disprezzo sono le mie passioni più forti, forse. I cittadini italiani, in questo scorcio di millennio, dovrebbero imparare a recuperare la capacità d’indignarsi, di disprezzare tutto ciò che è inutile e ingiusto; e conseguentemente – in nome di una ritrovata coscienza civica – a ribellarsi. Invece tutto langue, tutto è in mano a personaggi senza carisma e senza morale. La politica, la legge, la cultura; e anche il cinema e il teatro. E, abbiamo la percezione che, da più parti, s’inizi a sussurrare che il teatro italiano ha bisogno di un profondo rinnovamento. È vero: e, prima o poi, questa necessità si trasformerà in un urlo lacerante, in una assordante richiesta di riscatto: per chi sta seduto in platea e per chi, sul palcoscenico, al palcoscenico, dà la vita.
Il teatro non può continuare ad isolarsi dal contesto circostante, ad avvoltolarsi, ad avvizzire, ignorando i profondi mutamenti in atto nella nostra società. Il teatro è vita! Il teatro deve avere un cuore. E come un cuore, infatti, pulsa la scena di A ciascuno il suo: ambienti borghesi, addirittura opulenti, un’eleganza barocca, intrisa di simboli cattolici, su cui svettano delle creature misteriose – i mostri di Villa Palagonia, a pochi chilometri da Palermo – e a cui si sovrappongono gufi e pipistrelli, come ne Il sonno della ragione genera i mostri di Goya, tanto caro a Leonardo Sciascia. Ma A ciascuno il suo non è una storia fantastica: è cruda, indigesta realtà. Per questo, lo spettatore dovrebbe avere la percezione che tutto avvenga per la prima volta, in maniera imprevista, davanti ai suoi occhi. Questo è il teatro che sogniamo: non recitato, ma vivo. Gli attori sono veri come le loro menzogne.
Tutto è intrinsecamente siciliano e al tempo stesso universale, tutti fanno parte di un gioco febbrile e disgustoso – il gioco in cui ci si spartisce il potere – e chi non sta alle regole è, come Laurana, un cretino. La ragione continua il suo sonno – il suo sogno – ma, quando i cretini che ripudiano la corruzione aumenteranno, forse si risveglierà”.
note al testo di Gaetano Aronica
“Il percorso iniziato con Il giorno della civetta continua e si approfondisce con A ciascuno il suo.
Mentre nel primo romanzo Leonardo Sciascia apriva e chiudeva il discorso sulla mafia nel suo
passaggio dalla società rurale a quella urbana, qui non si parla quasi mai di mafia, essa è già
integrata nel tessuto sociale ed economico, acquisita nei rapporti umani. Non c’è una sola figura
positiva nella vicenda. I personaggi sono talmente compenetrati nei loro ruoli da non riuscire ad
immaginare un altro mondo possibile. Non sono nemmeno sfiorati dall’idea del cambiamento.
Tutto si compie con un’ambiguità spaventosa. Nascondono, ingannano, rimuovono al punto da
considerare le azioni fatte come estranee; se ne distaccano così tanto da mentire anche a sé stessi, come se non avessero coscienza del male. Vivono nell’impostura come se non dovessero mai morire o come se la morte, a un certo punto, non fosse altro che una formalità.”
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