L'articolo di Ronny Bianchi, sulla "Regione" dello scorso 30 novembre, è particolarmente interessante.
Parla di forbici salariali e ridistribuzione della ricchezza (ancora la storia dell'1:12, insomma).
L'articolo, basato sulle ricerche del Paris School of Economics, fornisce fra l'altro dettagli sull'evoluzione della percentuale della ricchezza annua prodotta dalla Nazione (in Italia e Stati Uniti) andata al 5% più ricco della popolazione.
1981 1993 2008 2012
Italia nd 19.8% 23.4% ndUSA 21% 27.4% nd 35.7%
L’incidenza del capitale di Ronny Bianchi - 11/30/2013
In fondo l’economia si basa su un concetto molto semplice: com’è distribuita la ricchezza generata dai fattori di produzione che sono terra, lavoro e capitale. La terra è remunerata con la rendita, il lavoro con il salario e il capitale con i profitti. Se la ripartizione è equilibrata, il sistema economico avrà una crescita sostanzialmente stabile, se c’è squilibrio, il sistema andrà incontro a difficoltà che possono essere irreversibili. Se, supponiamo, tutta la ricchezza va al lavoro, non ci saranno più investimenti e, viceversa, se ad accaparrarsi il reddito sarà il capitale, non ci saranno più consumi.
Ma eliminando questi casi estremi come possiamo definire una ripartizione equa? Finora era difficile quantificare l’equilibrio e si tendeva ad affermare che l’ideale era determinato da una situazione di crescita lineare di lungo periodo. Oggi grazie alle ricerche di alcuni economisti come Noah Smith, Emmanuel Saez e Thomas Piketty – che hanno ricostruito serie di dati molto lunghi per una ventina di Paesi –, possiamo ragionare su dati reali, benché non definitivi e non sempre di facile lettura e interpretazione. Storicamente nei Paesi industrializzati la suddivisione è stata relativamente costante: circa il 75% della ricchezza prodotta è servita per pagare i salari, mentre il quarto rimanente andava ai dividendi, affitti e altre forme di capitale. Negli ultimi 15 anni però le proporzioni sono cambiate e oggi la percentuale attribuita ai salari è scesa al 60 per cento.
Nel nostro Paese il 5% delle persone più ricche si accaparrava il 19,8% del reddito totale nel 1993 salito poi al 23,4% nel 2008. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, la medesima fascia di reddito, si è passati dal 27,4% al 35,7% nel 2012. Tuttavia mentre nel nostro Paese le variazioni sono state relativamente contenute, negli Usa la variazione è stata notevole perché nel 1981 il 5% più ricco aveva ‘solo’ il 21% del reddito totale. In generale si constata uno spostamento della distribuzione del reddito verso le fasce superiori a seguito anche di un miglioramento del rendimento nella remunerazione del capitale vista sopra.
Dare un’interpretazione dei dati non è scontato. Da un esame dei diversi Paesi ( http://topincomes.parisschoolofeconomics.eu/#Graphic ) si possono constatare delle differenze importanti tra quelli anglosassoni, dove le fasce più benestanti della popolazione si sono viste attribuire una quota di reddito in forte aumento negli ultimi 20-30 anni, mentre in altri Paesi (Svizzera, Germania, Francia, Paesi nordici) le variazioni sono state decisamente più contenute. Questo potrebbe spiegare l’aumento dell’indebitamento privato dei Paesi anglosassoni (che hanno un tasso di risparmio privato netto basso), ma anche il peggioramento di alcuni indicatori quali il livello educativo e la sanità. Anche altre spiegazioni sono possibili, come ad esempio l’evoluzione tecnologica o la crescita del settore terziario, e in particolare di quello finanziario, a scapito dei settori tradizionali.
Indipendentemente dalle cause, il risultato è comunque che il fattore capitale ha incrementato sensibilmente la sua remunerazione, generando maggiore instabilità e un aumento dell’indebitamento.
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