Negli anni '80 ho prestato servizio militare come ufficiale di Artiglieria. In quei dodici mesi il mio superiore diretto era un maggiore. Trentadue anni dopo siamo ancora amici. Lui adesso è un generale in pensione in ottima forma fisica e mente pronta.
Alcuni giorni fa stavamo parlando della situazione sociale italiana e delle proteste di piazza di queste settimane. Le rivolte si innescano quando la fame supera determinati, insondabili, livelli critici. Quei tipi di rivolte, però, portano raramente a veri miglioramenti sociali. I veri miglioramenti arrivano quando la classe dirigente di un Paese è capace di intuire pericoli e problemi all'orizzonte e avvia le opportune riforme e contromisure. Classi dirigenti simili non possono venir fuori, a mio avviso, dalla finta democrazia dell'Italia di oggi che allontana la gente di valore e si fonda su nani e cortigiani (porcellum).
"Io speriamo che me la cavo" di Marcello D'Orta |
La rivoluzione di febbraio, spontanea e liberatoria, portò alla caduta dello zar. Negli otto mesi successivi le pressanti richieste di rinnovamento e moralizzazione della Società furono traditi dal "sistema del doppio potere" (Governo Provvisorio + Soviet).
Il colpo di Stato dell'ottobre '17 fu quindi, "alla fine", "l'inizio" della spirale di violenza che avrebbe condannato all'incubo tre generazioni di russi.
"Speriamo che (l'Italia) se la cava".
Il mio secondo libro, "Rivolta", una sorta di equazione della rivoluzione in prosa, analizza queste situazioni sociali classiche... e sempiterne.
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